Dalla presentazione del 12 ottobre 2011
presso la Camerata dei Poeti di Firenze.
SPUSA SALVE REGINA DEL MAR
di Ermellino Mazzoleni
recensione critica a cura di Carmelo Consoli
Questa affascinante opera, la seconda dopo Aspettami al quinto punto cardinale dedicata all’amata sposa ci consegna un poeta finalmente giunto ad un traguardo sognato a lungo cioè quello di comporre un volume totalmente nel suo dialetto.
Un silloge nella produzione poetica di Mazzoleni di estrema dolcezza per la straordinaria presenza e luce di grazia della sua Lucia ma dove anche è forte la consapevolezza di una vita quotidiana amara che non gli appartiene e che non capisce.
Comunque è un sogno che prende corpo e chiude un ciclo che vede la sua anima finalmente ricongiungersi sia alle sue origini valligiane che all’amata sposa nel ricordo più bello e cristallizzarsi per sempre in una sorta di edenico limbo in cui l’interrogazione esistenziale è alla fine giustificazione e fuga da una realtà incomprensibile.
E’ vero che questo volume segna un punto di arrivo in un grembo materno di lingua, ma è anche vero che in Ermellino Mazzoleni il dialetto, anche quando egli scrive in italiano, è comunque sempre presente, agendo da nutrimento compositivo e divenendo un fattore di ristrutturazione e ricomposizione lessicale.
Sa bene chi ha letto la sua produzione poetica da “La contrada della Luna gobba” ad” Aspettami al quinto punto cardinale“ ed ancora alle varie “Laudi”, per citare alcune opere, come in lui la lingua italiana subisca la forza d’urto di un verbo territoriale sempre presente nel suo Dna e come, la stessa, rompa sovente con i suoi tradizionali schemi ricomponendosi e ristrutturandosi magicamente con forzature ed originali, ardititi arbitri. Si potrebbe parlare di una sua innovazione lessicale e sintattica che produce uno strano effetto di nobilitazione semantica caricata di immagini e significati di particolare forza e suggestione.
Mi piace immaginare Ermellino Mazzoleni come all’ultimo dei grandi cantori di un mondo fermo alla meraviglia della creazione originaria e allo stupore dell’infinito, seppur consapevole del dolore dell’esistere del vivere odierno e del mistero che avvolge la vita.
Un poeta, oserei dire, pensando agli scenari di popoli, credenze, ritualità che animano le sue opere rimasto ad un candore medievale intatto e suggestivo ed in questo anche il dialetto bergamasco gioca la sua parte di fascino animato come è di durezze, spigolosità, ambientazioni e fragranze rimaste ferme nel tempo.
La sua è una parola poetica che ha un arcano suono dalle mille sfumature che vanno dal materno, all’imprecativo, dal selvaggio, al puro, dal dettaglio quotidiano , all’abissale spazio, dove sovente la sintassi è reinventata nell’uso dei verbi, nell’aggettivazione dei sostantivi, nello scambio dei predicati , nelle combinazioni originali e dove il numero ha lo straordinario potere di dilatare e restringere il tempo (anche in questo libro ritroviamo la magia dei numeri “Trecento lune, cento fiumi, 9999 stelle”) oppure quando scrive “Bella sposa che balli i numeri dall’uno al tremila e uno, al numero senza numero…”
Starno a dirsi ma presto ci si abitua e ci si innamora di questa armonica disarmonia della lingua, tanto essa fa presa nel nostro inconscio stupore.
Ermellino nasce e cresce poeta dialettale (anche se amaramente constata che il dialetto non gli appartiene completamente) nel senso che le sue radici più profonde sono solidamente ancorate alle vicende, alle cronache, alle mitologie delle sue valli di cui il dialetto è linfa vitale e cristallina (Dice nella poesia “Sposa che canti sotto il tiglio”) “Le mie radici sono in questo matto dialetto | dei miei padri boscaioli e calderai |… e ancora | ho bevuto la mia lingua di streghe e pastore e falciatori di brina”.
Ed ora in questo cantico solenne che presentiamo troviamo ben quarantuno diversi ritratti per rappresentare la sua amatissima sposa all’interno del suo fantastico mondo: (una valle metà angeli, metà inferno, con la madonna d’agosto e i diavoli nel bosco e la strega della notte…), come la definisce; ognuna di queste rappresentazioni meriterebbe un partecipato commento critico se non ci fosse di mezzo il tempo.
Già la sua Lucia! Quanto amore per Lucia! Un libro questo che è cammino esistenziale, diario, confessione, continuo punto di domanda, ma soprattutto un libro di profondissimo amore che varca ogni confine dove Lucia è presenza, ispirazione, incantamento, sgomento.
Lucia è là come la prima apparizione, nelle stanze amate, nelle luci, nelle ombre, nelle valli, nelle acque, nelle fragranze, nella neve, Lucia è nei titoli delle liriche in ogni luogo e in ogni momento ma è anche sponda per le sue interrogazioni esistenziali e per i suoi disagi “E ora chi sono?” “Un sogno nel sogno?” scrive in “Sposa della voce fulmine nella notte”.
Alla maniera consolidata e affascinante di questo poeta il passato, il presente, l’oltre immaginario e il trascendente si mescolano, tra ammirazioni e constatazioni di irreversibili decadimenti ; un poeta che ha sempre avuto lo straordinario potere di porsi in una sua originale sfera atemporale .
Questo libro è uno scrigno prezioso di sentimenti e struggimenti dove la forza dell’amore e la straordinaria figura di Lucia hanno il potere di addolcire persino il rude dialetto bergamasco che ci appare in una delicata cornice di uve (bella quella uccellina - “l’oa oselina”), ciliegie, arpe fiorite, miele e così via.
Ma tutta l’opera è attraversata anche da una vena di rifiuto verso la realtà in cui egli è immerso e di presa di coscienza della propria anima; una la realtà che resta incompresa e l’altra l’anima come la definisce lui “che è stata senza accorgersi di essere. Scrive Ermellino: “Tutto è pensiero e sogno, tutto è dubbio e coscienza”.
A differenza de volume Aspettami al quinto punto cardinale il ricongiungimento con Lucia avviene nella sua lucida quotidianità del tempo vissuto e si fa tappa finale e immortale che si chiude con un sogno di benedizione dalla sposa dalle mani cherubine.
Mi sono posto spesso un interrogativo che investe la sfera spirituale, religiosa del poeta.
Come afferma Elio Fox nella sua introduzione al libro Ermellino si è professato un anarchico di Dio nel “Vento delle comete” e lo ha ribadito nella “Contrada della luna gobba” ma poi ha indugiato commosso con le sue “Laudi” nelle figure della Madonna e del Cristo che sono diventate poli catalizzatori di confessione, purezza e rifugio da un mondo di durezza e sacrifici, ha attinto con esaltazione alla bibbia, ai profeti, alla religiosità della sua gente e ancora in questo volume riflette e scrive nella poesia “Sposa alleluia di rosa” di quando sarà davanti a Domineddio.
C’è sempre stata dunque nelle sue opere una posizione di anarchia verso la presenza divina, uomo lui di realtà e durezze valligiane, profondamente ancorato allo strato più fragrante di un infinito territorio vitale, ma anche una altrettanto costante attrazione (o soggezione quando dice: “Dio è il mare e il sole e il cielo, è la tua anima Dio); un ripiegare potente allora verso la divinità come riferimento alla sacralità dei sentimenti e al bene nei confronti del male.
La mia convinzione allora è che il poeta viva la sua travagliata condizione carnale e spirituale tra realtà e metafisico, navigando tra purgatori, inferni, inventandosi paradisi , senza limiti spaziali, temporali ma in definitiva non scavalcando mai quel confine che è il partecipato rispetto e la grande pietas verso ogni cosa, ogni creatura vivente anche in presenza dei suoi conflitti d’anima come quando scrive: “E’ verticale il cielo? “Dove sprofonda?” “Negli abissi dei monti o nell’inferno” oppure a pagina 50 “E’ un sogno questa vita?” “E io chi sono?” Un sogno nel sogno?
Egli va dunque da una nicchia primordiale di fragranze, suoni e personaggi ad un sconfinato territorio di altri mondi, galassie, lontanissime stelle dove Dio è sempre presente nella sua comprensione o incomprensione.
Non si preoccupi il poeta di come parlerà quando sarà davanti a Domineddio se in bergamasco o nella lingua del poeta fiorentino. Con Domineddio il contatto è già avvenuto, attraverso la sua ardente partecipazione e commozione per tutto ciò che anima l’esistere, attraverso il suo candore, la sua confessione, il suo stupore metafisico ed ora nello splendore della sua donna.
Egli ha saggiamente già parlato di Dio e con Dio, ricevendone in cambio la grazia della parola attraverso la sua poesia.
presso la Camerata dei Poeti di Firenze.
SPUSA SALVE REGINA DEL MAR
di Ermellino Mazzoleni
recensione critica a cura di Carmelo Consoli
Questa affascinante opera, la seconda dopo Aspettami al quinto punto cardinale dedicata all’amata sposa ci consegna un poeta finalmente giunto ad un traguardo sognato a lungo cioè quello di comporre un volume totalmente nel suo dialetto.
Un silloge nella produzione poetica di Mazzoleni di estrema dolcezza per la straordinaria presenza e luce di grazia della sua Lucia ma dove anche è forte la consapevolezza di una vita quotidiana amara che non gli appartiene e che non capisce.
Comunque è un sogno che prende corpo e chiude un ciclo che vede la sua anima finalmente ricongiungersi sia alle sue origini valligiane che all’amata sposa nel ricordo più bello e cristallizzarsi per sempre in una sorta di edenico limbo in cui l’interrogazione esistenziale è alla fine giustificazione e fuga da una realtà incomprensibile.
E’ vero che questo volume segna un punto di arrivo in un grembo materno di lingua, ma è anche vero che in Ermellino Mazzoleni il dialetto, anche quando egli scrive in italiano, è comunque sempre presente, agendo da nutrimento compositivo e divenendo un fattore di ristrutturazione e ricomposizione lessicale.
Sa bene chi ha letto la sua produzione poetica da “La contrada della Luna gobba” ad” Aspettami al quinto punto cardinale“ ed ancora alle varie “Laudi”, per citare alcune opere, come in lui la lingua italiana subisca la forza d’urto di un verbo territoriale sempre presente nel suo Dna e come, la stessa, rompa sovente con i suoi tradizionali schemi ricomponendosi e ristrutturandosi magicamente con forzature ed originali, ardititi arbitri. Si potrebbe parlare di una sua innovazione lessicale e sintattica che produce uno strano effetto di nobilitazione semantica caricata di immagini e significati di particolare forza e suggestione.
Mi piace immaginare Ermellino Mazzoleni come all’ultimo dei grandi cantori di un mondo fermo alla meraviglia della creazione originaria e allo stupore dell’infinito, seppur consapevole del dolore dell’esistere del vivere odierno e del mistero che avvolge la vita.
Un poeta, oserei dire, pensando agli scenari di popoli, credenze, ritualità che animano le sue opere rimasto ad un candore medievale intatto e suggestivo ed in questo anche il dialetto bergamasco gioca la sua parte di fascino animato come è di durezze, spigolosità, ambientazioni e fragranze rimaste ferme nel tempo.
La sua è una parola poetica che ha un arcano suono dalle mille sfumature che vanno dal materno, all’imprecativo, dal selvaggio, al puro, dal dettaglio quotidiano , all’abissale spazio, dove sovente la sintassi è reinventata nell’uso dei verbi, nell’aggettivazione dei sostantivi, nello scambio dei predicati , nelle combinazioni originali e dove il numero ha lo straordinario potere di dilatare e restringere il tempo (anche in questo libro ritroviamo la magia dei numeri “Trecento lune, cento fiumi, 9999 stelle”) oppure quando scrive “Bella sposa che balli i numeri dall’uno al tremila e uno, al numero senza numero…”
Starno a dirsi ma presto ci si abitua e ci si innamora di questa armonica disarmonia della lingua, tanto essa fa presa nel nostro inconscio stupore.
Ermellino nasce e cresce poeta dialettale (anche se amaramente constata che il dialetto non gli appartiene completamente) nel senso che le sue radici più profonde sono solidamente ancorate alle vicende, alle cronache, alle mitologie delle sue valli di cui il dialetto è linfa vitale e cristallina (Dice nella poesia “Sposa che canti sotto il tiglio”) “Le mie radici sono in questo matto dialetto | dei miei padri boscaioli e calderai |… e ancora | ho bevuto la mia lingua di streghe e pastore e falciatori di brina”.
Ed ora in questo cantico solenne che presentiamo troviamo ben quarantuno diversi ritratti per rappresentare la sua amatissima sposa all’interno del suo fantastico mondo: (una valle metà angeli, metà inferno, con la madonna d’agosto e i diavoli nel bosco e la strega della notte…), come la definisce; ognuna di queste rappresentazioni meriterebbe un partecipato commento critico se non ci fosse di mezzo il tempo.
Già la sua Lucia! Quanto amore per Lucia! Un libro questo che è cammino esistenziale, diario, confessione, continuo punto di domanda, ma soprattutto un libro di profondissimo amore che varca ogni confine dove Lucia è presenza, ispirazione, incantamento, sgomento.
Lucia è là come la prima apparizione, nelle stanze amate, nelle luci, nelle ombre, nelle valli, nelle acque, nelle fragranze, nella neve, Lucia è nei titoli delle liriche in ogni luogo e in ogni momento ma è anche sponda per le sue interrogazioni esistenziali e per i suoi disagi “E ora chi sono?” “Un sogno nel sogno?” scrive in “Sposa della voce fulmine nella notte”.
Alla maniera consolidata e affascinante di questo poeta il passato, il presente, l’oltre immaginario e il trascendente si mescolano, tra ammirazioni e constatazioni di irreversibili decadimenti ; un poeta che ha sempre avuto lo straordinario potere di porsi in una sua originale sfera atemporale .
Questo libro è uno scrigno prezioso di sentimenti e struggimenti dove la forza dell’amore e la straordinaria figura di Lucia hanno il potere di addolcire persino il rude dialetto bergamasco che ci appare in una delicata cornice di uve (bella quella uccellina - “l’oa oselina”), ciliegie, arpe fiorite, miele e così via.
Ma tutta l’opera è attraversata anche da una vena di rifiuto verso la realtà in cui egli è immerso e di presa di coscienza della propria anima; una la realtà che resta incompresa e l’altra l’anima come la definisce lui “che è stata senza accorgersi di essere. Scrive Ermellino: “Tutto è pensiero e sogno, tutto è dubbio e coscienza”.
A differenza de volume Aspettami al quinto punto cardinale il ricongiungimento con Lucia avviene nella sua lucida quotidianità del tempo vissuto e si fa tappa finale e immortale che si chiude con un sogno di benedizione dalla sposa dalle mani cherubine.
Mi sono posto spesso un interrogativo che investe la sfera spirituale, religiosa del poeta.
Come afferma Elio Fox nella sua introduzione al libro Ermellino si è professato un anarchico di Dio nel “Vento delle comete” e lo ha ribadito nella “Contrada della luna gobba” ma poi ha indugiato commosso con le sue “Laudi” nelle figure della Madonna e del Cristo che sono diventate poli catalizzatori di confessione, purezza e rifugio da un mondo di durezza e sacrifici, ha attinto con esaltazione alla bibbia, ai profeti, alla religiosità della sua gente e ancora in questo volume riflette e scrive nella poesia “Sposa alleluia di rosa” di quando sarà davanti a Domineddio.
C’è sempre stata dunque nelle sue opere una posizione di anarchia verso la presenza divina, uomo lui di realtà e durezze valligiane, profondamente ancorato allo strato più fragrante di un infinito territorio vitale, ma anche una altrettanto costante attrazione (o soggezione quando dice: “Dio è il mare e il sole e il cielo, è la tua anima Dio); un ripiegare potente allora verso la divinità come riferimento alla sacralità dei sentimenti e al bene nei confronti del male.
La mia convinzione allora è che il poeta viva la sua travagliata condizione carnale e spirituale tra realtà e metafisico, navigando tra purgatori, inferni, inventandosi paradisi , senza limiti spaziali, temporali ma in definitiva non scavalcando mai quel confine che è il partecipato rispetto e la grande pietas verso ogni cosa, ogni creatura vivente anche in presenza dei suoi conflitti d’anima come quando scrive: “E’ verticale il cielo? “Dove sprofonda?” “Negli abissi dei monti o nell’inferno” oppure a pagina 50 “E’ un sogno questa vita?” “E io chi sono?” Un sogno nel sogno?
Egli va dunque da una nicchia primordiale di fragranze, suoni e personaggi ad un sconfinato territorio di altri mondi, galassie, lontanissime stelle dove Dio è sempre presente nella sua comprensione o incomprensione.
Non si preoccupi il poeta di come parlerà quando sarà davanti a Domineddio se in bergamasco o nella lingua del poeta fiorentino. Con Domineddio il contatto è già avvenuto, attraverso la sua ardente partecipazione e commozione per tutto ciò che anima l’esistere, attraverso il suo candore, la sua confessione, il suo stupore metafisico ed ora nello splendore della sua donna.
Egli ha saggiamente già parlato di Dio e con Dio, ricevendone in cambio la grazia della parola attraverso la sua poesia.